MOOREA, RAIATEA, HUAHINE, BORA BORA, RANGIROA
Agosto 2018
Il viaggio in Polinesia è, nell'immaginario collettivo, il Viaggio, quello con la V maiuscola quello che ti porta a dire che il paradiso dev'essere un posto simile.Abbiamo deciso di raggiungerla fermandoci in Australia (di cui racconto in un altro post) che non conosciamo, anche per interrompere il viaggio che sarebbe stato super lungo, ma scopriamo che tergiversare nelle decisioni ci preclude la possibilità di fare qualche isola che avevamo messo nel programma perché alcuni voli di Air Tahiti sono già sold-out. Quindi affrettiamo i tempi, anche se siamo solo a marzo e decidiamo per queste tappe: Sydney, Hamilton Island e Fraser Island, due scali tecnici a Brisbane e Auckland, poi Tahiti, Moorea, Raiatea, Huahine, Bora Bora, Rangiroa, di nuovo Tahiti e Melbourne.
Moorea
Alla partenza da Tahiti, si decide quale debba essere il posto migliore per godere del panorama all’arrivo, (questo “studio” ci accompagnerà per tutta la vacanza), ma soprattutto bisogna salire in fretta perché non ci sono posti assegnati! Il volo è velocissimo, neanche 15 minuti e il tempo per godere del panorama veramente poco, comunque quel poco è bellissimo, una palette di blu e azzurri da sballo!
Con Tahiti, Moorea è una delle isole più giovani dell’arcipelago e le due baie di Cook e Opunohu le conferiscono una particolare forma a farfalla. La leggenda narra che siano state formate da due colpi di coda di un grossa lucertola gialla, risalita dall’acqua. In realtà probabilmente sono dovute a due fiumi estinti, ma mi piace credere all’ipotesi fantastica… ci sono tante leggende in Polinesia, e questo aiuta ad avvolgere queste isole di quell’aura di magia che è in perfetto carattere con i paesaggi che mi circondano.
La natura è bellissima: rigogliosa e verde. Ci sono fiori e profumi ovunque, una gioia per gli occhi e tutto è curato e pulito e poi, verso l’interno, ci sono montagne con quelle forme incredibili, una si chiama appunto Montagne Magique!
Saliamo al Belvedere, in mezzo ad una natura lussureggiante. La vista sulle due baie di Cook e Opunohu, con il monte Rotui che le divide, lascia senza fiato… Ci fermiamo in contemplazione e non posso non pensare alla meraviglia che provò James Cook arrivando qui, in acque calme e calde, in un luogo così bello dopo tanti mesi di navigazione.
Impariamo subito a gustare una delle prelibatezze culinarie che ci seguirà per tutto il soggiorno: il poisson cru au lait de coco, accompagnato dalla birra locale Hinano. Il poisson di solito è il tonno, che però è decisamente rosa e non rosso come quello che sono abituata a vedere in Italia, condito con carote, cetriolo, cipolla, zenzero e latte di cocco e lime, fresco e digeribilissimo, nonostante con le cipolle crude e il cetriolo di solito io non vada d'accordo, ma qui è diverso...
Le porzioni sono abbondanti, (impariamo presto anche questo) e forse, ci diciamo, è per questo che i polinesiani sono spesso sovrappeso!
Facciamo il giro dell’isola facendo bagni in tutti i punti possibili e anche se le spiagge sono di solito piccole, ogni bagno non delude le aspettative: mare sempre bellissimo, trasparente e pulito, azzurri e turchesi delicati, vento e sole e quelle nuvole lassù all’interno sulle montagne, residuo dei vulcani che hanno formato l’isola, a ricordarci la loro presenza
Spiaggia Temae
Costa Ovest

Parco pubblico Taahiamanu
Sulla Route du belvédère
Ci abituiamo facilmente ai ritmi lenti di quest’isola: il sole tramonta presto, verso le 18, quindi si cena alle 18.30, massimo 19. In un piccolo ristorante sul mare ci fanno compagnia le razze e gli squali pinna nera (i primi che vediamo): aspettano tranquilli gli avanzi della cena. Non ci sono locali dove finire la serata, a meno che non si voglia andare nelle hall dei grandi alberghi, che non è una scelta che ci piace.. quindi in camera presto, si chiacchiera, si legge, si fanno i programmi per il giorno seguente e si ritrova del tempo che normalmente è come se non esistesse.. In compenso, l’indomani, la giornata inizia prestissimo con una luce già abbagliante, tersa e le infinite sfumature di blu e azzurro del mare e del verde delle montagne che ti fanno ringraziare il cielo per aver avuto la fortuna di poterle ammirare...Mi piace questo ‘ritmo lento’ mi sembra di aver più tempo da vivere. Con questa strana ma piacevole sensazione lasciamo Moorea.
Raiatea
Il volo per Raiatea dura 45 minuti e abbiamo tempo di goderci i panorami, sia alla partenza che all’arrivo. La laguna è incredibilmente grande e comprende al suo interno anche Tahaa, l’isola gemella che si trova 4 km a nord e da cui è separata dalla Baia di Apu. Le due isole condividono la barriera corallina e, secondo la solita leggenda polinesiana, sarebbero state divise dal colpo di coda di un'anguilla posseduta dallo spirito di una principessa.
Ci sono due strade a Raiatea, una costiera e la “route traversière”, che la taglia diagonalmente nella parte sud. Decidiamo di percorrerle entrambe per gustarci non solo la vista mare, ma anche l’interno.
Route traversière
Se la vita a Moorea scorreva lenta, qui praticamente si è fermata. Nel percorrere la strada costiera, abbiamo incontrato, fuori dalla capitale Uturoa (poco più di un villaggio), forse una decina di macchine, una ventina di cani (alcuni dei quali dormivano tranquillamente in mezzo alla strada) e una infinità di galletti. Ce ne sono tantissimi, che se ne vanno in giro per le strade impettiti e sicuri di sé. Umani pochi. In compenso, ci sono piante di ogni genere e fiori, fiori, fiori ai bordi della strada: splendidi.
Non ci sono spiagge a Raiatea, e forse è per questo che i turisti sono pochi. Se si vuole fare il bagno si devono percorrere i pontili che ci sono davanti ai pochissimi alberghi per immergersi nelle acque trasparenti e ricche di pesci colorati.
Sulla strada, però, ogni curva riserva una sorpresa: mare turchese e “motu” (gli isolotti della barriera corallina) ricoperti di palme o montagne imponenti e verdissime, una vegetazione ricca, disordinata, colorata e profumata
Motu
Tramonto dalla stanza
Qui visitiamo il più sacro “Marae”, (caratteristici templi a cielo aperto) di tutta la Polinesia. C’è un’energia particolare al Marae Taputapuatea (Patrimonio Umanità Unesco) il luogo in cui tutti i capi del mondo polinesiano, le isole australi, le isole Cook e la Nuova Zelanda, si riunivano per partecipare alle cerimonie più importanti… Questo Marae era così importante che qualsiasi altro marae venisse costruito su un’isola vicina doveva includere una pietra del Taputapuatea in segno di sottomissione, in pratica era la sede del potere spirituale di tutta la Polinesia. Mi intriga questa storia e mi stupisce come riuscissero a coprire cosi grandi distanze con delle semplici piroghe, navigando anche in direzione contraria agli alisei…
Una giornata la dedichiamo ad una escursione marittima a Tahaa, l’sola della vaniglia e delle perle (entrambe costosissime!).
Durante la gita nuotiamo in un vero e proprio acquario in cui ci facciamo trasportare dalla corrente della “pass” senza fare la minima fatica, godendo dello splendido paesaggio sottomarino: coralli, spugne, ricci, madrepore e un’infinità di pesci colorati che mi girano attorno, una gioia per gli occhi di chiunque e ancora di più per quelli di una biologa come me!
Ah, ho dimenticato di dire che una pass è un punto in cui, nella barriera corallina, c'è un passaggio attraverso cui le acque della laguna si mescolano con quelle dell'oceano aperto permettendo scambio di plancton e ossigeno e in cui, quindi, è facile trovare una varietà incredibile di pesci. Durante le maree, si formano correnti più o meno forti ed è per questo che è un luogo ideale per gustarsi il paesaggio senza fatica, basta lasciarsi trasportare.
Chiacchiere e aperitivo nell'acqua


Perle e costi, così, tanto per farsi un'idea
Già dall'aeroporto si può già ammirare l'isola in tutta la sua bellezza. C'è un gran movimento di taxi degli hotel (ognuno ha un piccolo stand che dona collanine di conchiglie o di fiori) che accolgono i propri ospiti. In alternativa, ci si può imbarcare su un grande catamarano, senza costi, perché compreso nel biglietto aereo, che fa approdare a Vaitape, la capitale.
Matira beach la spiaggia pubblica
Ho già detto che il mare mi incanta, lo so, ma qui è diventato una sorta di gioco ipnotico, impossibile staccare gli occhi da quei colori per paura di perderne una nuova possibile sfumatura...
Nonostante io abbia sempre guardato con diffidenza le moto d’acqua, qui non ho potuto esimermi dal fare un giro dell’isola in jetski. Si viene guidati attraverso la grande laguna lungo percorsi precisi, per approdare a un motu disabitato. Scivolare veloce sulle onde in questo paesaggio è stata un’esperienza impagabile
Pronti, partenza... via!


Così passano le ore nel nuovo paradiso ma, al momento di lasciarlo, il capitano ci fornisce delle cerate.. sì, perché il vento è ancora più forte e soprattutto avremo il mare contro... Mi vesto e mi siedo attaccata saldamente ad un montante della tettoia della barca, e lì capisco cosa vuol dire ‘ça bouge’. Io comunque guardo indietro, così non vedo le onde che dobbiamo superare (che mi fanno sempre un po’ impressione) e soprattutto mi riparo dagli schizzi che sono delle vere docce fredde... A metà strada ci sorprende anche una tempesta di pioggia: ok, penso, per fortuna manca poco (sempre essere ottimisti!)






Perle e costi, così, tanto per farsi un'idea
Pass con Bora Bora sullo sfondo
Nuotando nella pass
Il giorno della partenza saliamo a piedi sul monte Tapioi per goderci un’incredibile vista sulla laguna, su Tahaa e Bora Bora, ma commettiamo un errore che pagheremo il giorno seguente (entrambi a letto con la febbre!): siamo senza acqua, perché pensavamo che il percorso fosse breve. Invece, tra salite e errori nella scelta della strada (che non è segnata) arriviamo in cima stremati. Però la vista è stupenda, si vede chiaramente la barriera corallina che racchiude le due isole, Tahaa e Raiatea e in fondo Bora Bora
Huahine
Difficile non essere catturati dal fascino di quest’isola, non molto presente nei circuiti turistici classici. Nata da tre vulcani, in realtà è formata da due isole, unite da un ponte e percorse da poche strade.
Il suo nome significa ‘sesso femminile’ (‘Hua’ organi genitali e ‘Hine’ donna) forse perché la natura è feconda e le montagne hanno forme morbide…
Quando atterriamo a Fare, la nostra macchina a noleggio è parcheggiata fuori dall’aeroporto con le chiavi nel cruscotto e un cartello col nostro nome. La vita qui è proprio così: scorre lenta (ma questo già lo avevo scoperto nelle altre isole) e semplice, più semplice che altrove.
Fare è la più autentica tra tutte le capitali viste fino ad oggi, ed è l’unico punto trafficato (si fa per dire) dell’isola: pick-up, più o meno male in arnese, percorrono l’unica strada, dissestatissima, che la attraversa. Il limite di velocità dice 30, ma comunque non si potrebbe andare più veloce. Ci sono un sacco di piccole botteghe e banchetti di frutta e verdura e anche un negozietto che vende cappelli. Si, perché qui, per andare alla funzione domenicale, le donne si vestono eleganti e indossano il cappello. Ci sono tante chiese sparse nell’isola, di tutte le confessioni.
La natura è verdissima, rigogliosissima, stratificata, impenetrabile, lucida, perché tutte le foglie sono lucide e brillanti nel sole o lucide perché sta piovendo, ma comunque lucide e mi incantano... Il mare è un vero spettacolo con tante spiagge di sabbia corallina che rendono facile e particolarmente piacevole la balneazione.
La gente è sorridente e socievole, ci si saluta dalle macchine, quando ci si incrocia sulle strade: “Nanà” (ciao, arrivederci) e quando si entra a guardare qualcosa nei negozi e poi si esce, anche senza comprare nulla: “Mauruurù” (grazie), con una cantilena musicale e un bel sorriso.
Nel nostro giro dell’isola scopriamo anche delle trappole per pesci a forma di V, fatte con pietre. Pare siano qui da secoli e qualcuna è ancora in uso. La punta della V è rivolta verso l’oceano e i lunghi bracci verso terra. Quando, con la bassa marea, i bracci affiorano dall’acqua, i pesci restano intrappolati all’interno.
In albergo, abbiamo il nostro personale galletto che si premura di svegliarci al mattino e ci viene spesso a trovare durante la giornata. Ce ne accorgiamo perché, costretti dalla febbre, passiamo una giornata a letto, ma per fortuna siamo fibre forti e il giorno seguente possiamo riprendere le escursioni.
Al momento della partenza, lascio un po’ il cuore in quest’isola dove la sera è buio buio, ma proprio buio, dove la natura è La Natura, dove la gente ti sorride, dove il mare è facile e di mille gradazioni di azzurro, dove ho consegnato i bagagli al check-in dicendo:”Mon mari est allé faire de l’essence pour la voiture” e invece di sentirmi rispondere che avrei dovuto aspettarlo per consegnare le valigie, mi è stato risposto “Mais il revient?”
Capisco come ci si possa innamorare di questo paese e chi ha scelto di vivere qui.
Bora Bora
Sul volo per Bora Bora scegliamo i posti dalla parte sinistra dell’aereo perché sappiamo che l’arrivo, costeggiando l’isola e la laguna per atterrare all’aeroporto sul Motu Mute, sarà uno spettacolo e.. non veniamo delusi!
Aeroporto
È facile innamorarsi di quest’isola, anche se la natura non è così rigogliosa come altrove e anche se ci sono più segni di "passaggi umani" (il che include più spazzatura, più lavori di costruzione con camion, gru, ecc) dovuti al fatto che sia diventata la meta-paradiso per i viaggi di nozze e che sia presente in tutti i programmi di vacanze in Polinesia. Però a Bora Bora c’è Bora Bora, ovvero l’isola creata in modo da essere l’isola perfetta (chiedete a un bimbo di disegnare un’isola e avrà i contorni di Bora Bora) e c’è una laguna. Anzi, non una laguna, ma la laguna perfetta, quella in cui si trovano tutte le possibili gradazioni di azzurro, turchese, blu e acquamarina e dove i colori non sono mai gli stessi, perché il cielo è mutevole e le nuvole (praticamente sempre presenti sui monti Otemaru e Pahia) giocano con il mare trasformando il paesaggio un attimo dopo l’altro.
In hotel abbiamo una gradissima sorpresa. Quando all'arrivo ci accompagnano alla stanza, la ragazza in pareo e coroncina di fiori in testa (come sempre le donne qui), si dirige verso i bungalow over-water, mentre noi ne avevamo prenotato uno fronte mare. Così le chiedo se non avesse sbagliato l'assegnazione e invece mi dice che abbiamo avuto un upgrade (sarà che hanno saputo dei nostri 40 anni di matrimonio?) Wow! uno spettacolo, con vista sulla baia, sul monte Pahia, sui tramonti e con accesso diretto al mare, più una bottiglia di champagne per festeggiare l'arrivo. Beh, godiamocela!
Monti Otemaru e Pahia nelle nuvole
Matira beach la spiaggia pubblica
A Bora Bora il fondo marino è uno spettacolo: ho seguito le mante e le razze leopardo che ‘volavano’ in coppia e ho nuotato in mezzo a una quantità di pesci e coralli mai vista.
Nonostante io abbia sempre guardato con diffidenza le moto d’acqua, qui non ho potuto esimermi dal fare un giro dell’isola in jetski. Si viene guidati attraverso la grande laguna lungo percorsi precisi, per approdare a un motu disabitato. Scivolare veloce sulle onde in questo paesaggio è stata un’esperienza impagabile
Abbiamo anche avuto la fortuna di capitare qui durante una parte dell'Heiva. E' una manifestazione annuale che di solito si svolge tra luglio e agosto, in cui le squadre dei vari hotel si sfidano in gare di vario tipo: canoa (ma queste ce le siamo perse) e in altre assolutamente improbabili. Dalla corsa (a piedi rigorosamente nudi) portando sulle spalle dei bilancieri fatti con i caschi di banane, alla abilità e velocità nell’intrecciare le foglie di palma per farne dei canestri, alla preparazione del “poisson cru”. Divertente e colorata, l’Heiva è una sorta di ‘giochi senza frontiere’ polinesiano in cui gli abitanti dell’isola si trovano nella piazza a gareggiare o a fare il tifo.
Pubblico all'Heiva
Bilancieri e concorrenti
Pronti, partenza... via!

preparazione di canestri si gratta il cocco per ottenere il latte
presentazione dei piatti di poisson cru
Le due giudici. La signora con lo splendido cappellino verde, si è diligentemente mangiata ben più di un assaggio di tutti i piatti di poisson cru!
Arcipelago delle Tuamotu - Rangiroa
Il viaggio da Bora Bora a Rangiroa dura circa 1 ora. In aeroporto si rivedono le stesse facce e si ritrovano le nuove amicizie con cui condividere esperienze e informazioni per poi salutarsi con un arrivederci (al prossimo aeroporto o a quando? Mah, comunque è divertente questa fratellanza!)
Rangiroa è diversa dalle isole viste fino ad ora, non ha montagne che la rendano riconoscibile e ne disegnino il carattere. Rangiroa è un atollo, ma non di quelli che abbracci interamente con lo sguardo, è grande, ma proprio grande, al suo interno ci potrebbe stare tutta l’isola di Tahiti (così, tanto per avere un’idea.... )
Un solo motu è abitato, quello con la capitale Avatoru e l’aeroporto.
Qui non abbiamo prenotato macchine per muoverci, perché il motu è lungo circa 10 Km e ha un’unica strada che lo percorre, quindi la bicicletta sarà il nostro mezzo di trasporto.
La vita sul motu è tranquilla e ferma ad anni fa, la connessione è ballerina e dopo i primi tentativi di restare legati al solito mondo, si usa il cellulare per fare qualche foto o per muoversi nel buio, perché anche qui è buio buio, e le stelle si vedono come non mai. La sera tutto è calmo, il mare e il vento e c’è silenzio attorno e una pace che non ricordavo..
Il mare è di una bellezza incredibile, con i soliti azzurri trasparenti che non smetteresti mai di guardare, popolato da pesci colorati di ogni genere e da squaletti pinna nera o da squali limone che vedi anche dall’esterno, quasi non serve fare snorkeling!
Cerchiamo un supermercato per procurarci il necessario per la colazione (a cui parteciperà, ogni mattina, una gallina coi suoi pulcini) e ci accorgiamo di come la vita qui sia diversa da quella che conosciamo: siamo in mezzo all’oceano e siamo veramente in un luogo poco popolato e lontano da tutto! Infatti i supermercati non offrono molto, in pratica quello che è rimasto dall’ultimo rifornimento, e allora capisci perché quando arriva il nuovo carico, le donne, coi loro pick-up, fanno incetta di frutta, verdura e yogurt e se arrivi tardi... trovi quello che hanno lasciato. Bisogna quindi adeguarsi ai ritmi locali…
Non c’è traffico sulla strada, solo i soliti pick-up che, a quanto pare, sono le macchine preferite dai locali e un certo numero di biciclette. Ci si incrocia e pedalando ci si saluta, ci si ferma a chiedere e dare informazioni, si scambiano due parole e dopo un po’, è come se ci si conoscesse tutti... e poi ci si ritrova alle 17 alla pass di Tiputa a guardare i giochi dei delfini che saltano nella corrente che si forma per effetto delle maree. Che spettacolo! Tutti incantati come bambini e tutti muniti di apparecchiature foto-cine per immortalarne i salti.
L'unica strada Tiputa

delfini nella pass
E poi veloci, bisogna pedalare verso casa prima che scenda il buio perché la strada non è illuminata e le bici non hanno fari e quindi diventa pericoloso. Ce l’hanno raccomandato al noleggio, “rientrare prima che scenda il buio”! Però è un peccato non potersi fermare perché ogni sera, sul piazzale dell’aeroporto, il personale di terra (mentre aspetta l’ultimo volo), si riunisce a improvvisare una jam-session di musica polinesiana così coinvolgente che vorrei stare lì ad ascoltare, ma non c’è tempo, la musica comunque mi accompagna per un po’, portata dal vento...
Prenotiamo un’escursione a Lagon Bleu (una laguna nella laguna): un’esperienza che ricorderò per sempre, sia per la bellezza dei luoghi incontaminati che abbiamo visto, sia per il ritorno, veramente adrenalinico. Lagon Bleu si raggiunge dopo un’ora di barca veloce da Avatoru, navigando all’interno della laguna di Rangiroa.
Quando il capitano prima di partire ci dice “Oh aujourd’hui ça bouge un peu, parce-qu’il y a du vent” non avevo dato nessun peso alle sue parole. In fondo, avevo pensato, siamo pur sempre dentro la laguna, con il reef che ci ripara dall’oceano aperto. Peccato che, considerate le dimensioni della laguna, se c’è vento, le onde ci sono eccome! Comunque il nostro capitano, ragazzone dalle fattezze maori, un po’ sovrappeso ma con muscoli di tutto rispetto, ci ha portati a destinazione. E lì abbiamo scoperto un altro paradiso perché, a quanto pare, in Polinesia di paradisi ce n’è più d’uno: acque tranquille, cristalline, azzurre e acquamarina, circondate da motu ricoperti di palme da cocco che si piegano verso il mare (quelle tipiche da foto-cartolina) e spiagge coralline bianchissime e l’immancabile cielo blu. Si può camminare da un motu all’altro, l’acqua sempre alle ginocchia e si incontrano uccelli e tanti squali pinna nera. È in pratica la nursery degli squali: qui sono protetti e, visto che non attaccano l’uomo e il posto è incredibile, facciamo il bagno con loro che, devo dire, sono abbastanza schivi. Se ti avvicini si scansano.. incredibile, vero?
Così passano le ore nel nuovo paradiso ma, al momento di lasciarlo, il capitano ci fornisce delle cerate.. sì, perché il vento è ancora più forte e soprattutto avremo il mare contro... Mi vesto e mi siedo attaccata saldamente ad un montante della tettoia della barca, e lì capisco cosa vuol dire ‘ça bouge’. Io comunque guardo indietro, così non vedo le onde che dobbiamo superare (che mi fanno sempre un po’ impressione) e soprattutto mi riparo dagli schizzi che sono delle vere docce fredde... A metà strada ci sorprende anche una tempesta di pioggia: ok, penso, per fortuna manca poco (sempre essere ottimisti!)
Quando arriviamo in hotel mi butto sotto una doccia bollente per riscaldarmi e sciogliere la tensione.. ma che foto abbiamo fatto e che ricordi porterò con me!

Nei giorni seguenti pedaliamo alla scoperta del motu e torniamo sempre all’appuntamento coi delfini. Strana sensazione pedalare sentendo il mare da entrambe le parti, non mi era mai capitato e, se si ascolta bene, il rumore del mare è diverso, da una parte è forte (ed è da lì che arriva il vento fresco che rende più leggera la pedalata), dall’altra è più tranquillo.
Scegliamo di percorrere alcune stradine sterrate che scendono al mare interno tra la folta vegetazione di palme e ci accorgiamo che quelli che sembrano sassolini bianchi in realtà sono pezzetti di corallo di varie dimensioni o conchiglie... in mezzo a tanta bellezza, qualche casa ogni tanto, cani che gironzolano tranquilli e dei ponticelli per superare i canali che si formano quando il mare sconfina oltre la barriera corallina ed entra per ricongiungersi alla laguna. E lì penso a quanto possa essere fragile un posto così bello ma così esposto, e ancora una volta sono felice per aver avuto la fortuna di averlo potuto vedere
Tahiti
Prima di questo viaggio mi bastava sentir nominare Tahiti e Papeete e già la fantasia mi portava a spiagge tropicali, mare, palme, fiori, profumo di tiarè, insomma paradiso. Ora posso dire che in realtà Tahiti non è come la immaginavo. Papeete è una cittadina col traffico di una città, un po’ caotica, un po’ sporchetta, con costruzioni senza fascino e anche un po’ degradate (le vecchie case coloniali sono praticamente sparite..) quindi non esattamente il paradiso polinesiano!
La sera, girare a piedi ci ha fatto sentire a disagio: poca gente nelle strade interne, e alcuni dall’aspetto poco rassicurante. Se si esclude la parte di Piazza Vaitape, quella con le roulotte che vendono ottimo cibo a poco prezzo, molto frequentata e illuminata, il resto è abbastanza desolato… Nella zona del mercato ho visto gente che dormiva sui pick-up, forse erano gli stessi che di giorno lavoravano lì, ma comunque non facevano una gran bella impressione e anche molti uomini dall’andatura malferma… È stata la prima volta, in tutto il viaggio, in cui mi sono guardata le spalle e ho cambiato marciapiede…
Il mercato è frequentato sia dai locali per acquisti di frutta, verdura, o fiori già preparati per le tradizioni coroncine da mettere in testa, che dai turisti alla ricerca souvenir locali.


Ma la cosa più stupefacente, almeno per me, è stata la quantità di stoffe colorate, con le fantasie tipiche, a foglie o fiori, che mi ha creato un notevole imbarazzo nella scelta: le avrei comprate tutte!
Quando abbiamo fatto il giro dell’isola, ciò che ho visto fuori da Papeete e soprattutto a Tahiti Iti (la parte più piccola dell’isola, quella che dai locali viene chiamata ‘presqu’Île’) mi ha rincuorata.
Tahiti Iti è tutta un’altra cosa, qui ho ritrovato la natura ricca, le montagne verdissime, i fiumi balneabili, le spiagge dove i ragazzi “surfano” e quelle dove i bimbi giocano, quasi tutte di sabbia nera. Ecco, diciamola tutta, a me le spiagge di sabbia nera non finiscono di piacere, rendono più cupo anche il colore del mare...
Ci fermiamo al Marae Arahurahu, luogo sacro, già lo sappiamo, ma la serie di idoli Tiki, (piccole statue di legno o pietra), disseminati per il sito sembrano sempre tenerti sotto osservazione, controllando che si tenga un comportamento degno di un luogo tanto sacro.
Siamo scesi fino a Teahupoo dove avrebbero dovuto svolgersi i campionati del mondo di surf, il Billabong Pro Surf Competition.
Avevamo letto di questo incredibile reef break che, a causa della barriera corallina (che fa passare la profondità oceanica da più di 50 metri, a poco più di 1,5 metri) può dar vita a un’onda aggressiva a ‘tubo’ alta anche come un palazzo, pesantissima, che genera un rombo assordante ed eravamo pronti a farci accompagnare in barca fino al ‘reef’ per vedere da vicino le evoluzioni dei campioni nel ‘tube’. Avrei voluto emulare Tim McKenna, il fotografo australiano ‘ammalato’ di Polinesia, che ha fotografato le onde di Teahupoo per anni, ma purtroppo il mare era incredibilmente calmo, talmente calmo da decretare la sospensione delle gare... Peccato, niente adrenalina da risalita dell’onda perfetta a lato dei surfisti!
Lì, in fondo all’isola, abbiamo scoperto un angolino fermo nel tempo: ci si arriva a piedi, dove finisce la strada, superando un ponticello che ballonzola quando i ragazzini ci corrono sopra (e loro, ovviamente, continuano a correre avanti e indietro!), e ci si trova in mezzo a case sparse nel verde con tavole da surf appoggiate ai muri o sui tetti, laghetti con ninfee viola e papere, bimbi scatenati che corrono a piedi nudi o in bicicletta, ragazzi seduti sotto l’albero che suonano l’ukulele e cantano musiche locali. Ecco ‘Le Village’ mi è piaciuto proprio tanto, anche se non c’era una spiaggia bianca e anche se il cielo era grigio.
Spiaggia di Teahupoo
Ponte per Le Village

Le Village
La domenica, prima di partire, decidiamo di partecipare alla funzione nella chiesa protestante. E’ un’emozione per gli occhi (colpiti dai colori sgargianti degli abiti delle donne, intonati a cappellini e gioielli) e per le orecchie, perché i canti ‘a cappella’, si succedono in continuazione e sono bellissimi, forti, coinvolgenti… da pelle d’oca…
E, con ancora la musica nelle orecchie, ci avviamo all’aeroporto. Non parlo più tanto e io, che di solito sono sorridente, sento una sottile malinconia che si impadronisce dei miei pensieri. Mentre aspettiamo l’imbarco, con gli abiti pesanti per affrontare il clima di Melbourne, lascio spazio a una vocina che nella testa si fa sentire insistentemente: “Ma perché la Polinesia dev’essere una volta nella vita? Chi l’ha detto?” E come darle torto? (alla vocina, intendo..) E così mi dico che.. forse, chissà, magari... giochi per sentire meno la tristezza del distacco..
Ripenso a quanto ho visto in questi giorni, attraverso quante atmosfere sono passata, quante persone ho conosciuto, quanti azzurri ho scoperto, quanti fiori e profumi ho annusato e quanti cieli mutevoli ho ammirato e non so stilare una graduatoria di cosa mi sia piaciuto di più, so che è stato un viaggio che ha cambiato la mia percezione dell’ambiente e che anch’io, come quel giornalista di cui parlavo precedentemente, Tim McKenna, mi sono sicuramente ‘ammalata’ di Polinesia.
Chissà se sarà solo una volta nella vita? Never say never...
Consigli pratici
E' sicuramente un viaggio che si può organizzare da soli, noi lo abbiamo fatto. L'unico punto cruciale è prenotare presto, non tanto per i voli intercontinentali, quanto per quelli interni. La capacità degli aerei è limitata perché sono piccoli e quindi spesso capita di dover riprogrammare tutto il percorso perché mancano i posti su una tratta. Noi, ad esempio, ci siamo mossi troppo tardi: a marzo per agosto e già alcune tratte erano sold-out. Abbiamo utillizzato la compagnia Air Tahiti che offre la possibilità di scegliere diversi multi-pass tra le isole.
C'è grande offerta di hotel o case, un po' per tutte le tasche, si possono trovare anche alloggi non costosi.
Mi sento di consigliare:
- per Moorea Villa BellaVista, una sistemazione un po' fuori dal centro di Teavaro, con una vista impagabile sulla laguna
- per Raiatea il Raiatea Lodge stile coloniale e grande parco che arriva fino al mare. Dalla stanza si godono splendidi tramonti e si mangia benissimo
- a Huahine Maitai Lapita Village con stanze molto grandi, su una spiaggia piccola ma molto bella, tranquilla e riparata, ma la cucina lasciava un po' a desiderare. in alternativa Le Mahana più semplice (ma si mangia benissimo), anche questo su una spiaggia splendida nella parte di Huahine Iti, quindi più lontano dalla capitale Fare.
I ristoranti sono tanti e offrono ogni genere di cibo. Per una serata particolare con cucina innovativa, (un mix tra francese e polinesiana) a Papeete, L'O à la Bouche
In tutte le isole della Polinesia (tranne Raiatea) abbiamo preso una macchina, la più piccola disponibile, è fondamentale, perché ci ha permesso di muoverci come meglio credevamo e raggiungere tutti i punti anche i più lontani dagli hotel.
In ogni isola ci sono mille escursioni che vengono proposte, vanno assolutamente fatte per vedere fondali, coralli, motu disabitati e mari ancora più incontaminati, però meglio non acquistarle in hotel ma cercare fuori, in paese, di solito costano un po' meno.
























































































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