domenica 10 marzo 2024

BRASILE

La Rotta delle emozioni e... non solo

Agosto 2023 


Da Fortaleza a Jericoacoara


Confesso, il Sud America mi manca quasi tutto (tranne una capatina, anni fa, a Los Roques), sarà perché ho una predilezione per i paesi asiatici, di fatto, quando devo programmare un viaggio, tendo sempre ad andare verso Est. Beh, questa volta ho deciso che era ora di cambiare e ho scelto il Brasile, la cosiddetta Rota das Emoções, la Rotta delle Emozioni e mai definizione è stata più azzeccata, secondo me.

Il viaggio per raggiungere Fortaleza è lunghetto. Primo stop a Lisbona, cosa che mi fa felice perché mi dà l'opportunità di gustarmi due pastel de nata (di cui sono golosissima) con caffè e poi si parte per Fortaleza. So che sarà lunga e quindi mi metto tranquilla, senza pensare che avrei voglia di essere già carioca

Arrivo alla sera e la mattina seguente lascio subito Fortaleza senza rimpianti: è enorme (la quinta città brasiliana) e con un traffico senza senso. Parto in pick-up 4x4 (si starà comodi, pensavo) su strade asfaltate che di asfalto ne hanno ben poco perché è cosparso di buche, rappezzi di ogni genere, pavimentazioni differenziate, sanpietrini tutti sconnessi, insomma si viene “frullati” ben bene … Quando a Lagoinha l'autista sgonfia le gomme per iniziare il percorso sulla spiaggia, tiro un respiro di sollievo, lì, è come andare in autostrada.

Lagoinha

Lungo la spiaggia

Fa caldo ma c’è vento e le onde si rincorrono. Dopo poco incontriamo il primo ostacolo: il piccolo rio Trairi da attraversare su una piattaforma trainata a forza di braccia da due giovani. Questa modalità di passaggio dei fiumi su chiatte di ogni genere, con piccoli motori fuoribordo (che mi chiedo come facciano a funzionare), si ripresenterà molto spesso, con tutto il suo corollario di urla per aiutare l'autista affinché imbrocchi le pedane per salire a bordo.
 
Guado del Rio Trairi

E così avanti per chilometri. Si va veloce, le spiagge sono enormi, la sabbia durissima, la marea lambisce le ruote e i paesaggi sono già da sballo. 



Uno stop in un ristorante per pranzo, pieds dans l'eau (come dicono i francesi) e dove inizio a godermi le specialità locali: aragosta e caipirinha (i prezzi non sono certo i nostri, per fortuna!) Mai avrei pensato di pasteggiare a caipirinha, ma diventerà un'abitudine, con buona pace di chi vorrebbe bevessi acqua...
Dune bianche o gialle sono alle spalle delle spiagge e l’oceano è caldo, anche se un po’ arrabbiato, sarà la marea che sta risalendo ma non mi sentirei sicura a nuotare lì dentro. 

Ingresso a Jericoacoara

L’arrivo a Jericoacoara verso il tramontodopo un ultimo tratto su sabbia morbida, sbandando come matti è, come dire, intrigante.
C’è un ingresso in cui ci si deve registrare e pagare una tassa di soggiorno, ma scopriamo che noi siamo esenti perché vecchietti (bene o male? Dipende dai punti di vista) e, per sbrigare queste pratiche, il nostro autista ci impiega un po’. Intanto scendo dall’auto e mi guardo intorno: ragazzi sorridenti, fila di macchine ferme come noi a fianco della sbarra di accesso che ogni tanto si alza per far passare colorate buggy, quadricicli con conducenti imbavagliati, camioncini carichi di ragazzi in costume che salutano urlando, moto, insomma un via vai di umanità felice, spensierata, vestita con costumi e parei. Ho pensato, “sono capitata in una comunità di figli dei fiori”. E finalmente la sbarra si alza anche per noi.

Le strade di Jeri (qui viene chiamata così) sono di sabbia, esiste solo una piazza principale che ha una sorta di pavimentazione solo nel centro, ma tutto intorno la sabbia regna sovrana. Perfetto, penso, mi toglierò le scarpe e le rimetterò prima di partire, del resto è noto che amo stare a piedi nudi!





La sera un po’ mi spaventa la quantità di gente che circola, perché me li vedo tutti sulla spiaggia l’indomani a rovinarmi il piacere di respirare la libertà che dune e oceano regalano. E invece le spiagge sono infinite,  la gente si disperde, le maree sono importanti e trasformano il paesaggio attimo dopo attimo, il vento è costante cosi sopporti meglio il caldo, le nuvole viaggiano nel cielo e creano giochi di luce sulle dune intorno e vengo catturata da questa atmosfera serena di vita a contatto con la natura un po’ hippy, un po’ fighetta, un po’ godereccia in cui la caipirinha non deve mai mancare (ça va sans dire!)

E poi c’è un rito d’obbligo al tramonto: salire sulle dune aspettando che il sole si butti nel mare.




Le giornate a Jeri (paradiso di chi pratica kite e windsurf) passano ingannando il tempo con lunghe passeggiate sulla spiaggia. Non è faticoso camminare perché la sabbia è dura e quindi non si sprofonda, poi c'è un vento costante che non ti fa sentire né il sole né il caldo (protezione solare alta, quindi).

In albergo ci suggeriscono di raggiungere La Pedra furada (andando lungo la  spiaggia verso Sud Est) si parla di 3 km e quindi sembra fattibile. In realtà sbagliamo strada, mi ferisco un piede sugli scogli appuntiti lasciati liberi dalla marea e camminiamo salendo e scendendo dalle dune (fatica bestiale) senza raggiungerla. Però il panorama che si gode dall'alto ci fa dire "vale il viaggio".



Eccola la Pedra Furada, raggiunta al secondo tentativo 

La passeggiata verso Nord Ovest si rivela meno avventurosa. La spiaggia non ha scogli puntuti ma è utilizzata come strada. Ci passano macchine e moto, ma non danno fastidio perché è enorme, sono anzi occasioni per fare foto.




Qui a Jeri provo un piatto tipico, la moqueca de camarão, arroz e pirào cioè uno stufato di gamberi, riso e crema di manioca, veramente squisito, con la birra locale


Ah, al mattino, uscita dalla stanza, trovo quest'ospite dell'hotel, un'iguana, neanche tanto piccola. E non sarà l'unica volta!


Da Jericoacoara a Parnaiba

Sulla strada per Parnaiba, che inizia dalla spiaggia di Jeri, si passa attraverso paesini fatti di nulla, si guadano fiumi (con traghetti un po' più seri, questa volta) e si fa uno stop a Lagoa Grande
Meraviglia! Dune bianche e rosa si inseguono e cambiano colore quando il sole passa dall’una all’altra. La sabbia ancora non è calda così salgo in cima a una duna per sentire il vento e i granelli che picchiano nelle gambe e lasciarmi affascinare da questi paesaggi.


Ma la fermata è veloce, bisogna arrivare a Parnaiba, dove ci aspetta una lancia veloce per risalire il fiume e raggiungere il Delta das Americas che è il più grande delta fluviale di tutto il continente americano. Il Parnaiba  dà origine ad una moltitudine di isole (oltre 70) e canali d'acqua più o meno stretti (dove crescono le mangrovie) lì, all'Isla do Caju abbiamo un appuntamento alle 17.30 per la revoada dos guaràs.

Il sole è ancora alto quando si parte, ma per fortuna si va veloci e l'aria aiuta a sopportare la calura. Controllo se ho portato l'antizanzare, c'è, ma mi accorgo che, per fortuna non serve. Il fiume si divide in mille bracci e mi chiedo quali siano i punti di riferimento che servono per riconoscere la strada da fare, ci devono essere, ma non riesco ad individuarli.

Più ci si avvicina alla meta e più il fiume si allarga, fino a diventare quasi un lago con alcune isole sparse nel mezzo.

Ci ancoriamo al largo dell'Isla do Caju un piccolo isolotto  in cui dovrebbero arrivare i guaràs, gli ibis scarlatti e aspettiamo. Con noi ci sono altre barche, tutti in silenzio e col naso in su. E improvvisamente, quand’è l’ora, puntuali, iniziano ad arrivare, prima due o tre alla volta, poi a stormi compatti 15, 20 ibis rossi brillanti, che volano veloci e si posano sugli alberi che così, dopo poco tempo, sembrano trasformati in bouganvillee rosse.  Lo sapevo, mi ero documentata, ma vederli arrivare tutti insieme, beh, non ho parole per descrivere l'emozione, solo batticuore e pelle d'oca.
 




È buffa questa cosa che capita ogni giorno, al mattino se ne vanno per procurarsi del cibo, soprattutto gamberetti (per questo hanno il piumaggio rosso) e la sera tornano ‘a casa’ tra le 17.30 e le 18.
Rientriamo che ormai è  buio, con la luna piena che illumina il fiume e a maggior ragione mi chiedo come facciano a destreggiarsi tra tutte le possibili vie d'acqua... che tutte le strade portino a Parnaiba?

Lençóis 

Lasciata Parnaiba, la prossima tappa sarà Barreirinhas perché da qui si parte con le escursioni ai piccoli Lençóis e ai Lençóis Maranhenses

Perché chiamare questa zona Lençóis, cioè lenzuola? Perché è soggetta a un forte vento che oltre a creare le dune (che possono essere anche alte più di di 40m) le sposta in continuazione e quindi il parco cambia aspetto anche più volte durante l’anno. Questo continuo movimento fa sì che l’insieme delle dune ricordi un lenzuolo steso ad asciugare ed è proprio da qui che deriva il nome di “Lençóis Maranhenses”.

Già i piccoli Lençóis erano stati una sorpresa, ma quando, dopo 1 ora e mezza di pista sabbiosa nella foresta e una salita su una lunga scala dai gradini sconnessi, sono arrivata in cima alla duna più alta... la vista é stata da togliere il fiato: montagne di sabbia bianchissima a perdita d’occhio, intervallate da lagune azzurre o verdi che si formano per la raccolta di acqua piovana che cade nella stagione delle piogge e sotto di noi, la Lagoa Bonita, dove fare un bagno è stato un vero piacere, perché l'acqua, che credevo fosse torbida, era invece trasparente e pulitissima.

Ho passato molto tempo a guardarmi intorno e a camminare per allontanarmi dalle persone che erano salite insieme a me sulla duna, il vento fischiava nelle orecchie e il paesaggio era infinito e abbacinante. Che luoghi spettacolari ci sono in giro per il mondo! Mi sento fortunata per essere qui.



E anche questa volta aspettiamo il tramonto, che non ha deluso: è stato uno spettacolo.


Il secondo giorno nei 
Lençóis lo passiamo andando su e giù per le dune per  raggiungere Atins (con soste-bagno nelle lagune); e io che pensavo fosse vietato salirci in macchina! Atins è un villaggetto piccolo e tranquillo, regno dei kite che aspira a diventare la nuova Jericoacoara. In realtà al momento è molto tranquillo, non c'è proprio nulla se non qualche pousada dove alloggiare. 


Le corse sulle dune ci permettono di immergerci nel paesaggio che ieri mi aveva tramortito con la sua grandiosità e bellezza. Oggi ci sono dentro, sono abbagliata dal bianco della sabbia e dall'intensità dei blu e verdi delle lagune. E' esaltazione infantile quella che sento.
Una cosa rimpiango, non aver contattato un fotografo che potesse farmi dei filmati con un drone...




São Luís

E' una tappa d'obbligo, São Luís, (si trova su un'isola, anche se non ci si accorge e sembra di stare su una penisola) perché ha un aeroporto da cui raggiungerò la prossima meta. E' più grande di come me l’aspettavo e più trafficata. L'albergo è nella zona moderna, con alti grattacieli. 
E' l'unica città brasiliana ad esser stata fondata dai francesi, nel 1612. Il nome è stato un omaggio a Luigi XIII. 
Mi fermo giusto il tempo per fare un giro nel centro storico.

Il nucleo originario, che ha visto passare prima francesi, poi i portoghesi (che iniziarono le coltivazioni di canna da zucchero) poi olandesi e poi nuovamente portoghesi è stato dichiarato Patrimonio Umanità Unesco, ma è molto mal tenuto ed è un vero peccato.
Le case sono spesso rivestite da azulejos le tipiche piastrelle portoghesi che avevano uno scopo preciso: visto che i muri erano stati costruiti con pietre, argilla conchiglie e olio di balena, il sale contenuto nel vento che arriva dal mare li avrebbe sgretolati in poco tempo, quindi le piastrelle servivano da protezione. I balconi hanno ringhiere di ferro battuto che sono dei ricami, ma tutto versa in condizioni pessime, sembra abbandonato, eppure non è un centro enorme, si potrebbe ristrutturare. Mi fa un po' tristezza così, forse mancano i soldi, o forse i soldi ci sarebbero ma sono utilizzati per altro, non so, però è un peccato, magari col tempo la sistemeranno e diventerà un gioiellino, ma ora sembra abbandonata a sé stessa.

Viene soprannominata la “Giamaica brasiliana” e infatti la musica di Bob Marley aleggia nei vicoli del centro storico e ogni anno c'è un festival dedicato a questo genere musicale (nel 2024 sarà in ottobre, a quanto pare).





Iguazú

La partenza da São Luís è un po' avventurosa. Non si capisce per quale motivo le targhette dei bagagli, stampate in automatico, ci farebbero atterrare direttamente a Rio dove invece arriveremo tra due giorni. Trovare qualcuno che parli inglese non è semplicissimo, ma alla fine, con un po' di batticuore, le cose si sistemano e so che atterrerò con i miei bagagli a Iguazu. Del resto, vuoi andare in Brasile e perderti una delle 7 meraviglie naturali del mondo?

Il primo approccio è dal lato argentino, si parte all'alba per evitare le code ed essere sul posto appena il parco apre le porte, ma facciamo il percorso avvolti nella nebbia che però pian piano si dirada. 

Giusto due numeri: si tratta di 275 cascate con altezze che arrivano fino agli 80 metri, il fronte è di 2,7 km e con una portata d’acqua in media di 1,9 milioni di metri cubi al secondo. Già così fa un effetto pazzesco, vederle dal vero ti spiazza. Avevo già visto le cascate Vittoria, ma queste secondo me sono “di più”… Ci sono tre percorsi da fare, uno  basso, uno medio per finire a quello alto che porta alla Garganta del Diablo (una gola a forma di U profonda 150 metri e lunga 700 metri, la più imponente e segna il confine tra Argentina e Brasile). In ogni percorso ho scattato foto che mi sembravano splendide, con arcobaleni che si formano per le goccioline sospese, ma quando sono arrivata là in alto e il rombo dell’acqua ha superato il vociare delle persone e ho visto decide di uccelli volare  dentro una nube di droplets impalpabili che rendevano il panorama come avvolto da una nebbiolina, beh, tutte le foto fatte prima sono diventate poca cosa di fronte alla potenza e maestosità di quanto avevo davanti.




il giorno seguente è la volta del lato brasiliano. Inizio la discesa dicendo “Ah, ma la parte Argentina è meglio, la Garganta del Diablo è sicuramente più imponente e suggestiva!” Poi, cammina cammina, ti rendi conto che il fronte della cascata sembra non finire mai e ne realizzi l’estensione (cosa non percepita dal lato argentino) perché le vedi tutte in successione, con frastuoni più o meno importanti, salti più o meno alti, e arcobaleni più o meno estesi. E poi alla fine arrivi al salto Santa Maria e allora una volta in più resti senza fiato, e questa volta anche completamente lavata dalle goccioline portate dal vento e dallo spostamento d’aria generato dalla forza della cascata.


Un arcobaleno tondo. Questo mi mancava

Salto Santa Maria


Difficile scegliere quale lato sia il migliore, immancabili entrambi, secondo me, uno il completamento dell'altro, esperienze che resteranno ben impresse nella mente.

Sono stata anche al Parque das aves su consiglio di alcuni ragazzi di Rio che avevo conosciuto a Jaricoacoara, ma in realtà a me non è piaciuto molto. Le gabbie sono enormi, è vero, al loro interno ci sono vere e proprie mini-foreste con alberi grandi, ma ci sono pur sempre delle reti (ovviamente) che chiudono la parte superiore delle gabbie e chissà com'è, gli uccelli vanno sempre lassù e si aggrappano alle maglie della rete. C'erano anche i Guarà che colonizzavano alcuni alberi, ma li ripensavo in volo mentre tornavano all'Isla do Caju e mi dicevo: "Chissà cosa pagherebbero per stare coi loro simili sul delta del Parnaiba!"

Rio de Janeiro

So benissimo che questo non è il periodo giusto per visitarla, ma vuoi venire in Brasile e non andare a Rio de Janeiro, la Cidade Maravilhosa?
E allora eccomi qui, sperando che il tempo sia dalla mia parte e mi permetta di fare le visite di rito godendomi il panorama. Prima di atterrare, sentiamo un annuncio, in cui si dice di fare attenzione ai cellulari e di camminare possibilmente senza borse perché gli scippi sono frequenti. Non un bel biglietto da visita, anche se penso che dirlo sia un po’ come risolvere il problema a metà, se dovesse succedere qualcosa: ”...Vi avevamo avvisati..”. Nonostante ciò, la mattina dopo, con un cielo blu cobalto, partiamo per le nostre escursioni muniti di macchine fotografiche, obiettivi di ricambio, cineprese, telefonini e… occhi anche dietro le spalle.
Si inizia con il classico giro per Rio: il centro, il Maracanà, il sambodromo (dev'essere uno spettacolo durante il carnevale, ma vuoto non dice molto, però ti fa immaginare quello che può diventare), il quartiere di Lapa e la Escadaria Selarón.

Maracanà
Sambodromo



Colorata, allegra e piena di gente la Escadaria Selarón è stata iniziata per caso da questo artista che voleva sistemare le alzate dei gradini (rovinati) vicino a dove abitava. Poi è diventata una sorta di ossessione tanto che diceva che l’opera sarebbe finita solo con la sua morte… inizialmente le piastrelle furono recuperate da cantieri di Rio, in seguito vennero donate da turisti di ogni parte del mondo.
Oggi più di 2000 piastrelle provenienti da tutto il mondo colorano questa scalinata.
A me ha ricordato un po’ quella di Caltagirone




La salita al Corcovado si presenta lunga, c'è una coda infinita per arrivare alla funicolare che ci porterà in cima, a 710 m sul livello del mare. Poi si dovranno salire a piedi i 220 gradini per arrivare alla base della statua.

Giusto qualche info: La statua del Cristo è stata inaugurata il 12 ottobre del 1931 dal Presidente Vargas, anche se l’idea di erigere una statua sulla cima del Corcovado risale in realtà al secolo precedente. Vinse il progetto dell’ingegnere carioca Heitor da Silva Costa, che inizialmente propose di raffigurare il Cristo con una croce tra le mani, ma il cardinal Leme insistette perché la statua fosse meglio visibile anche da molto lontano e quindi il progetto venne modificato e si optò per raffigurare il Cristo con le braccia aperte e distese a simboleggiare la pace. A disegnare in modo definitivo la statua del Cristo Redentor fu il pittore Carlos Oswald.
La statua in effetti è enorme (38m) e sul basamento leggo una targa commemorativa dedicata a Guglielmo Marconi: nel giorno dell’inaugurazione del monumento, fece partire un segnale radio da Roma che ne accese l’illuminazione.

La piazza sottostante è piccola per ospitare la moltitudine di persone che ci sono e raggiungere la balaustra per scattare qualche foto è una lotta titanica, ma con determinazione (che include qualche sgomitata), ci arrivo anch'io. 



Il panorama dal Corcovado spazia a 360 gradi. 710 metri più in basso è possibile vedere l’Oceano Atlantico e la Baia di Guanabara con il ponte Rio-Niterói (lunghissimo! più di 13 chilometri, di cui quasi 9 sull'acqua, la Lagoa Rodrigo de Freitas e i quartieri di Ipanema, Copacabana e Leblon che sembrano delle sottili lingue di sabbia, i grattacieli del centro di Rio e lo stadio Maracanã e il Pan di Zucchero, con la sua funivia che, visto da qui sembra minuscolo.

Pan di zucchero e Praya Botafogo

Ponte Rio - Niterói

Lagoa Rodrigo de Freitas-Praya Leblon e Ipanema

La salita al Pão de Açúcar (il nome pare derivi dalla forma conica che assumono i cumuli di zucchero durante la lavorazione) è meno faticosa. Ci sono due funivie da prendere: una che porta al primo stop, il Morro da Urca e la seconda che fa salire fino sulla sommità 396 m, dove aspetteremo il tramonto.
Questo monte è un vero e proprio monolito che si è formato dalla separazione di Africa e America del Sud. 
Mentre saliamo, vediamo sotto di noi alcuni escursionisti che si arrampicano sulla parete spoglia con delle corde, coraggiosi!







Luci su Praya do Flamengo

Tramonto sul Corcovado




Credo che Rio abbia il più bel panorama al mondo, sicuramente è il più bello che io abbia visto finora. La baia è incredibilmente articolata tra promontori, spiagge, lagune e isole, infatti forse sarebbe più giusto parlare di baie, al plurale. Ma quando cammini sulle strade, questa bellezza ti sfugge, c’è un traffico pazzesco, moto che sfrecciano superando da ogni parte e suonando in continuazione per farsi sentire dagli automobilisti, insomma un gran caos.
Le case sono tutte circondate da alte cancellate che proteggono l’ingresso e spesso fuori c’è un guardiano, lungo le strade spesso si trovano macchine della polizia con le luci lampeggianti e militari col fucile, il che la dice lunga sul problema della sicurezza.

Il secondo giorno a Rio è un po' meno fortunato, il cielo è grigio e piove, a tratti anche in modo importante. Meno male che sono andata ieri per panorami dall'alto, oggi non avrei visto nulla!
Il giro per la foresta di Tijuca non finisce mai, così capisco quanto è estesa, però, se devo essere sincera, avrei preferito un tour un po' più breve. Mi spiegano che, se non fosse per questa foresta, il clima di Rio durante la stagione estiva sarebbe insopportabilmente caldo.

Le favelas non sono come mi sarei aspettata, niente baracche ma solo case costruite le une vicine alle altre, il più delle volte in autonomia: serve una stanza in più, si costruisce un altro pezzo di casa (ecco perché sono tutte così vicine!), con matasse di fili della luce che passano da una all’altra (un po’ tipo India); negozi, ristoranti, banche (la guida mi dice che sono due), servizio di autobus e tanti mototaxi condotti da omoni poco rassicuranti, ma pare sia il mezzo preferito per muoversi all’interno. Ho visitato la Favela Rocinha, camminando per la strada principale, senza addentrarmi nelle vie laterali. 
La guida ci diceva che tutti hanno un impiego e che gli abitanti sono per la maggior parte immigrati dal Nord che sono venuti a Rio per cercare un lavoro. Pagano un fisso mensile per la luce che però non è sufficiente per coprire i consumi, quello che manca lo paga lo Stato. Anche gli affitti sono calmierati. Hanno scuole gratis e centri sportivi gratis. Il problema è la circolazione di droga e la poca propensione a lasciare che la polizia controlli le vie. 

Favela Rocinha


Centro sportivo e parco giochi della favela

Santa Teresa è un quartiere costruito dai portoghesi, che amavano vivere in collina per poter controllare le piantagioni che si trovavano più in basso. Sembra una piccola Lisbona, col tram che sale piano piano nelle strade strette e acciottolate. Le case hanno prezzi accettabili perché il quartiere è circondato dalle favelas e i collegamenti con Rio la sera si interrompono per problemi di sicurezza. Mi è piaciuto, nonostante la pioggia.



Le spiagge di Rio sono bellissime, grandi, di sabbia chiara, profonde e si susseguono mantenendo le stesse caratteristiche. La spiaggia di Copacabana è disseminata di reti per volley o calcio, beach tennis, o “futevôlei” non ho visto ombrelloni (credo perché siamo in inverno) e poi un sacco di gente che corre lungo la passeggiata, insomma lo sport la fa da padrone, tutti tonici qui a Rio!



Ah, se poi avete voglia di un caffè, o un dolce, o uno spuntino salato, non perdetevi, in centro, la Confeitaria Colombo fondata nel 1894. Facile che ci sia una lunga coda, quindi se non volete perdere tempo, almeno entrate per ammirarne l'interno.




Parte 7: Consigli pratici

La parte del viaggio da Fortaleza a São Luís è perfetta per il mese di agosto, direi che il periodo giusto è proprio quello tra luglio e agosto quando le lagune dei  Lençóis sono ancora piene, perché poi l'acqua evapora e il luogo perde fascino. Difficile fare il viaggio guidando da soli, meglio affidarsi a degli autisti locali che conoscono le piste sulla spiaggia e sanno quando partire tenendo conto delle maree e delle condizioni di transitabilità dei corsi fluviali e dei rivoli che si formano sulla spiaggia (spesso nascondono imprevisti poco piacevoli tipo "sabbie mobili"). 

Nei Lençóis non si può andare da soli, bisogna per forza aggregarsi a dei tour di gruppo, però solitamente non sono formati da troppe persone. Se avete tempo, cercate di contattare qualche fotografo locale che vi possa fare riprese col drone. non è possibile farle liberamente. 
Cambiate quanto vi serve per dare le mance, che sono sempre super gradite, per il resto carte di credito accettate ovunque. Unica attenzione per il giorno in cui andate a visitare il lato argentino delle cascate di Iguazu: se avete già pagato qualcosa in Brasile lo stesso giorno, non usate la stessa carta per pagare in Argentina, c'è il rischio che ve la blocchino.

Agosto non è la stagione migliore per visitare Rio.  Se incappate in un momento perturbato non riuscirete a vedere nulla dei panorami, quindi magari datevi almeno tre opportunità. Salite sul Pan di Zucchero in tempo per il tramonto, è il momento in cui la luce è migliore e Rio che si accende nella notte uno spettacolo.
La Foresta di Tijuca e il Villaggio olimpico si possono lasciar perdere, anche perché le distanze sono importanti e il traffico dilata i tempi di percorrenza, io ad esempio, avrei voluto passare il ponte Rio-Niteroi per andare al MAC (museo di arte contemporanea progettato dall'architetto Oscar Niemeyer) ma non ho fatto in tempo e lo stesso è stato per il Museo do Amanhã che ho visto solo da fuori. I miei due giorni a Rio sono stati veramente troppo pochi!

Un viaggio stupendo, alla scoperta di paesaggi e fenomeni naturali incredibili che regalano emozioni profonde e indimenticabili.
Un rimpianto: troppo breve la sosta a Rio e non aver visitato Salvador de Bahia...
Del resto il Brasile è talmente grande che mi toccherà tornarci, ho già qualche idea: tipo le zone della foresta amazzonica e del Pantanal.



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